Di nuovo in dubbio la tutela delle eccellenze del Made in Italy, la Croazia chiede la registrazione del Prosek, l’Italia non ci sta. È il nuovo caso Tocai?
Una delle denominazioni italiane più imitate e più famose, il vino italiano più venduto al mondo, il nostro Prosecco potrebbe essere minacciato dalla procedura di riconoscimento della menzione tradizionale ’Prosěk’, avviata dalle autorità croate. Gianmarco Centinaio, sottosegretario alle Politiche agricole nel governo di Mario Draghi, denuncia la complicità della Commissione europea per la proposta di Zagabria: “La richiesta presentata dalla Croazia di dare avvio alla procedura di riconoscimento della menzione tradizionale Prosek è irricevibile. La Commissione europea blocchi subito questo tentativo e non proceda con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il rischio è altrimenti quello che finisca con il violare le sue stesse norme. Il Prosecco è legato al suo territorio che dal 2019 è stato anche riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Le stesse regole Ue tutelano le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche protette da ogni forma di concorrenza sleale”.
L’intenzione della Croazia è chiara. Vorrebbero ingenerare confusione nei consumatori a favore del loro Prosek con il classico trucchetto dell’Italian Sounding. La domanda estera di vino italiano è trainata essenzialmente dal Prosecco che vale il 65% dell’intero export a volume del segmento spumanti.
Una semplice traduzione
Scrive Paolo De Castro (coordinatore del Gruppo S&D alla Commissione Agricoltura del Parlamento Ue), in una lettera inviata al commissario all’Agricoltura Ue, Janusz Wojciechowski “Di fronte alla richiesta di tutela di una menzione, Prosěk, che altro non è se non la traduzione in lingua slovena del nome Prosecco, bisogna ricordare che il regolamento Ue sull’Organizzazione comune dei mercati agricoli stabilisce che le denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette devono essere tutelate da ogni abuso, imitazione o evocazione, anche quando il nome protetto viene tradotto in un’altra lingua. Senza contare che, al momento della sua adesione all’Ue, la Croazia non aveva chiesto la protezione della denominazione ’Prosěk’, consapevole del fatto che fosse in conflitto con la tutela riservata al nostro Prosecco”.
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Prosek, la storia si ripete
In base a un accordo del 1994 l’Ungheria ha rivendicato per sé la denominazione Tokaj e l’Italia, a partire dal 2007, deve rinunciare ad usarla. Così, il bianco simbolo della vitienologia del Friuli Venezia Giulia, ha dovuto infatti cedere il nome (utilizzato dal famoso Tocai Friuliano, da allora ribattezzato solo Friulano) all’Ungheria, perché Tokaij è un luogo geografico (e quindi protetto dalle norme Ue) mentre in italiano era solo il nome di un vitigno. Stesso nome per due vini completamente diversi: Il Tocai italiano, infatti, è un bianco secco da pasto, dal sapore fruttato, con un piacevole ricordo d’ amaro, mentre il Tokaj ungherese è un liquoroso vino da meditazione, dolce.
Pierluigi Zamò, produttore virtuoso di Tocai, racconta: “La decisione della UE fu inoppugnabile. Grazie a quella stessa norma, in Friuli solo il Verduzzo di Ramandolo può chiamarsi così. Il vitigno Tocai è coltivato un po’ ovunque, compresi Usa e Australia, ma solo in Ungheria esiste un’area vitivinicola con quel nome. E dalle uve “Furmint” raccolte nella Tokajhegyalija, che si fa il Tokaj. Il resto, è storia chiusa”.
Dunque quella battaglia che vide l’Italia soccombere, questa come andrà a finire?
Si prevede aria di rivolta nelle parole di Zaia “Di fronte all’Ungheria abbiamo dovuto rinunciare al nome del Tocai, nonostante fosse prodotto anche da noi. In questo caso non si deve assolutamente cedere sotto il profilo identitario. La difesa non è solo un atto di protezionismo agricolo, economico o commerciale. È una difesa della nostra storia e della nostra identità. Ci sono temi sui quali non si può transigere”.
Nessuno tocchi il Prosecco!
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