L’utilizzo della tecnologia blockchain pubblica, data anche la sua forte inclinazione etica e sociale, presume che il suo utilizzo sia preferito esclusivamente da chi della trasparenza non ha timore, mentre, chi intende fare del proprio business l’unica regola d’oro, può tranquillamente utilizzare strumenti di storytelling e blockchain private.
Intervista a William Nonnis, Full Stack & Blockchain Developer, dal 2012 si occupa di Blockchain prima per il Ministero della Difesa ora in Enea. Nel 2021, premiato da ANGI e la Presidenza del Consiglio, come eccellenza Italiana in ambito Blockchain e Innovazione Digitale. Riconosciuto come uno dei massimi esperti per la sua esperienza in questo campo, risulta tra i 10 Top Influencer Blockchain Developer, è conosciuto nel settore come il “purista della Blockchain”
Caro William, dal tuo osservatorio privilegiato, potresti dirci a che punto siamo nella curva di adozione della blockchain in Italia, ci riferiamo nello specifico nel campo delle applicazioni non legate al settore finanziario?
Per comprendere quanto il nostro Paese sia stato pronto ad accogliere la tecnologia disruptive della Blockchain, è sufficiente sfogliare, anno dopo anno, le pubblicazioni degli indicatori DESI (Indice dell’economia e della società digitale), che evidenziano le competenze digitali dei singoli Stati UE, stilandone la classifica in base a diversi ambiti.
Se è vero che negli anni l’Italia ha scalato diverse posizioni nella classifica europea, avanzando dal penultimo posto, al ventiquattresimo del 2020, fino al diciottesimo del 2022, tra i ventisette Stati in lizza, è altresì vero che la spinta verso la digitalizzazione è avvenuta non tanto per un ripensamento in toto delle attività in chiave moderna e competitiva quanto, piuttosto, per l’emergenza pandemica. A differenza dei Paesi del nord Europa, sempre alle prime posizioni dell’indice DESI, per aver strutturato da tempo la società in modo tale che fosse compresa, accettata e condivisa, una nuova mentalità digitale, l’Italia sta ancora affrontando la transizione con un approccio analogico.
In questa situazione di enorme approssimazione l’enorme novità tecnologica rappresentata dalla Blockchain non ha avuto miglior sorte. Anzi, si è talmente insistito su un tipo di informazione superficiale e grossolana che la Blockchain, dopo quindici anni dalla sua prima effettiva realizzazione, nel nostro Paese viene ancora e spesso scambiata per la criptovaluta Bitcoin. E, se l’intera comunità è ancora all’oscuro delle grandi potenzialità della Blockchain al di là del settore economico/finanziario (tra l’altro di sovente macchiato da un pessimo marketing speculativo ai danni di ingenui investitori), non va molto meglio nelle aziende private e, ancor meno nella PA, di sovente guidata da menti non troppo illuminate o, peggio, non troppo preparate, in ambito digitale. E non solo, perché c’è anche da differenziare la vera Blockchain, quella pubblica o permissionless, l’unica in grado di rispettare le sue promesse di immutabilità dei dati inseriti e di trasparenza degli stessi, dalla Blockchain permissioned (privata), che in realtà reca con sé tutte le falle di un registro privato, gestito da una struttura centralizzata. Quest’ultimo tipo di Blockchain, proprio per la sua facilità di gestione e mancanza di trasparenza, sconfessa spudoratamente i principi e i valori sociali per i quali è nata l’autentica Blockchain.
Quando si parla di blockchain applicata alla tracciabilità di filiera nel settore alimentare si sentono pareri discordanti di alcuni commentatori che eccepiscono nella procedura della certezza del dato inserito. Qual è la tua opinione in merito?
E’ fuor di dubbio che la Blockchain utilizzata nel settore dell’Agrifood, conferisca al prodotto tracciato un valore qualitativo ineguagliabile.
Per le nostre eccellenze enogastronomiche, la Blockchain rappresenta un fondamentale sostegno alla salvaguardia del prodotto da frodi e imitazioni, rilanciando così anche nel mercato estero la trasparenza dell’universalmente conosciuta qualità e della sicurezza dei prodotti agroalimentari italiani.
Certo è che ogni singola informazione trascritta nel registro pubblico Blockchain, non può, come ben sappiamo, essere manomessa o alterata in alcun modo, data l’impossibilità di hackerare il network ma, proprio all’inizio della catena, se il dato immesso sia veritiero oppure no, resta ancora un atto di fiducia.
Considerando, però, l’immane macchina della blockchain pubblica e anche la sua forte inclinazione etica e sociale, si presume che il suo utilizzo sia preferito esclusivamente a chi della trasparenza e della verità non ha timore mentre, chi intende fare del proprio business l’unica regola d’oro, può tranquillamente utilizzare altri strumenti di storytelling oppure la Blockchain privata, perché facilmente plasmabile ad esigenze contingenti.
La Blockchain, quella vera intendo, prima di essere una tecnologia è una mentalità rivoluzionaria che ripristina, con gli assiomi della distribuzione, dell’equità e della trasparenza, il valore della fiducia, fondamentale per una società evoluta. Pertanto, l’utilizzo di una rete Blockchain con un dato distorto in partenza è l’antitesi della sua ragione stessa di esistenza e oltretutto, essendo distribuita e con un numero sostanzioso di partecipanti, risulta refrattaria ad ogni tipo di interesse personale; insomma, assolutamente super partes.
Sul mercato si trovano sempre più prodotti alimentari che si vantano di avere la filiera tracciata in blockchain che costringono il consumatore a cercare il numero di lotto sull’etichetta e poi a inserirlo manualmente sul proprio portale. Quali insidie potrebbe nascondere questo approccio non diretto?
A mio parere, la tecnologia ha vero senso di esistere solo quando, con forte sentimento etico, si fa strumento sociale. Vale a dire quando diviene un facilitatore di quotidianità, offrendo a tutti opportunità di semplificazione pratica in piena sicurezza aumentando, così, la qualità della vita e diffonderlo benessere.
Ma, sottolineo, una tecnologia per essere perfettamente funzionale, deve offrire immediatamente la soluzione all’utente e, di certo, la procedura di accesso alle informazioni di un dato prodotto in blockchain, non può essere lento né, tantomeno, macchinoso, come l’inserimento manuale, da parte dell’acquirente, del codice per la lettura delle informazioni registrate.
Se, in cambio della tracciabilità, il consumatore è costretto a trascorrere una giornata al supermercato a rintracciare codici, probabilmente, per quel consumatore, è più semplice, sbrigativo rivolgersi al suo piccolo commerciante di fiducia, il quale sicuramente non avrà qr code da esibire, ma ci mette faccia e professionalità a garanzia dei prodotti che vende nella sua bottega.
E non solo, perché se la tecnologia è un sostegno facilitatore alle attività quotidiane, il primo requisito etico che deve possedere è che sia messa a disposizione di tutti e che sia accessibile da tutti, compresi, ad esempio, gli anziani.
Dietro alcune soluzioni presenti sul mercato si nascondono delle semplici notarizzazioni (timestamping o addirittura l’utilizzo di token NFT) spacciandole per vera tracciabilità della filiera. Come mettere in guardia le aziende quando scelgono una soluzione per i loro prodotti? Quali informazioni dovrebbero essere disponibili al consumatore per avere certezza che è avvenuta una tracciabilità delle materie prime tra i vai attori coinvolti nella filiera.
Da “nerd”, dieci anni fa, quando ho iniziato a studiare molto seriamente la Blockchain, mi sono appassionato immediatamente della sua straordinaria potenzialità rivoluzionaria, che ho tentato, ad esempio con un progetto realizzato dal Ministero della Difesa, di diffondere essenzialmente nella PA (Pubblica Amministrazione). Credevo e credo ancora di più oggi, che tale tecnologia, possa essere realmente il volano per rilanciare il nostro Paese, afflitto da infrastrutture obsolete e da una burocrazia pedantemente farraginosa, verso una modernità e agilità di servizi, al passo con gli Stati più avanzati.
Soprattutto, ribadisco, la potenzialità dirompente della Blockchain sta nella sua naturale propensione all’ equità, alla democrazia e ad un sentimento tutto nuovo di fiducia tra parti, rafforzata sia dalla mancanza di un potere centrale che dalla struttura intrinseca della Blockchain, che non consente cancellazioni dei dati immessi.
Pertanto, sapere che, le basi fondanti la Blockchain, siano minate e vilipese da puri intenti di marketing ed interessi personali è una distorsione che io denuncerò sempre, senza mezzi termini. Piegare utenti, aziende ed imprese, alla legge del dio denaro, cavalcando l’onda del trend, a causa della scarsa cultura digitale e, men che meno, di informazione/ formazione sulla Blockchain, significa tradire l’intera società che potrebbe trarre benefici dal contesto di disintermediazione e, contemporaneamente tradire il credo di una nuova, appassionata categoria di professionisti che, sulla Blockchain ha investito anni di studio e continuo a farlo, per poter offrire alla comunità servizi e prestazioni eccellenti.
Dal punto di vista tecnico abbiamo svariate realtà che spacciano la blockchain “quella non vera” come piattaforma per la tracciabilità della filiera. Nel momento in cui va ad analizzare la realtà delle soluzioni non vi è traccia dell’esecuzione della notarizzazione in Blockchain. La rintracciabilità alimentare è una cosa seria ma quanto viene intaccata dall’unico obiettivo di “fare Marketing”, inseguendo i trend del momento, finisce per invalidare l’utilizzo della tecnologia.
Quali sono i motivi perché le aziende agroalimentari italiane dovrebbero adottare la tracciabilità delle filiere delle loro eccellenze con la tecnologia blockchain?
La tecnologia Blockchain, assieme alle infrastrutture critiche, all’AI e agli IoT/IoE (internet delle cose/ Internet of Everything, ossia strumenti fisici e materiali come i droni e tutta la sensoristica) che lo coadiuvano, è il sostegno perfetto alla produzione agroalimentare italiana, globalmente riconosciuta come eccellenza e pertanto, può farsi cassa di risonanza per l’acclarata qualità dei suoi prodotti rilanciando internazionalmente i benefici della dieta mediterranea, con prodotti tracciati e certificati. Contemporaneamente, la Blockchain può dare una considerevole sferzata per la testimonianza della sostenibilità e l’applicazione di un modello di economia circolare.
Date le caratteristiche di sicurezza e trasparenza dei dati immessi, la tutela del consumatore è il primo e imprescindibile corollario dell’utilizzo di tale tecnologia nella supply chain poiché, senza il suo sussidio, sono gravi e molteplici le falle che possono crearsi lungo tutta la filiera.
La nevralgica criticità delle frodi alimentari resa possibile dagli scarsi controlli di una filiera che si basa esclusivamente sulla rilevanza documentale. Con la Blockchain, che invece memorizza documenti e transazioni su un registro distribuito, dove i record inalterabili vengono salvati e mantenuti permanentemente e gli errori, vari ed eventuali, sono assolutamente riconducibili ai singoli autori, provoca ovviamente ammissione e riconoscimento di responsabilità, incentivando così ad alzare gli standard di attenzione e la qualità in generale, nonché a distrarre eventuali male intenzionati da azioni illecite e fraudolente.
La qualità dei prodotti, si diceva, è uno degli altri aspetti fondamentali che la Blockchain può monitorare effettivamente nel settore Supply Chain e Agrifood, facendosi forte dell’ausilio dato dall’Intelligenza Artificiale dagli IoT/IoE (sensori di temperatura, pressione, umidità che con i relativi dati, sono associati alla transazione del prodotto) e dai satelliti.
Tali strumenti, sono così in grado di ricostruire la storia di un dato prodotto, dal seme che era, a tutto il suo processo di coltivazione e maturazione, stabilendo con certezza quanti e quali eventi atmosferici e processi lo hanno accompagnato lungo la trasformazione fino alla tavola del consumatore.
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