Boom export cibo italiano, da birra a caviale, ma solo 1 prodotto su 5 è doc.
“Non si è mai consumato così tanto Made in Italy alimentare nel mondo come in questo periodo”
– sostiene il Presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo –
“certamente per le condizioni economiche positive dovute alla ripresa internazionale e ai tassi di cambio favorevoli su mercati importanti come quello statunitense ma anche perchè l’Italia ha saputo cogliere l’opportunità di Expo per raccontare al mondo il modello agroalimentare e i suoi valori unici”.
Il valore dei cibi e dei vini italiani all’estero è raddoppiato negli ultimi dieci anni facendo segnare un aumento record del 79% nelle esportazioni che hanno raggiunto il massimo storico di 36,8 miliardi di euro nel 2015. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sul commercio estero sulla base dei dati Istat. Circa un prodotto alimentare italiano esportato su cinque è “Doc” con il valore delle esportazioni realizzato grazie a specialità a denominazione di origine, dai vini ai formaggi, dalle conserve all’olio fino ai salumi, che rappresenta il 20% del totale ma – sottolinea la Coldiretti – si evidenzia anche che la crescita è spinta da nuove specialità del Made in Italy, dalla birra ala caviale.
A trainare è soprattutto il vino che fa registrare un aumento dell’80 per cento nel decennio per raggiungere nel 2015 un valore delle esportazioni di 5,4 miliardi che lo colloca al primo posto tra i prodotti della tavola Made in Italy all’estero. Al secondo posto si posiziona l’ortofrutta fresca con un valore stimato in 4,4 miliardi nel 2015 ma con una crescita piu’ ridotta e pari al 55% mentre al terzo posto sul podio sale la pasta che raggiunge i 2,4 miliardi per effetto di una crescita del 82% nel decennio. Nella top five ci sono anche i formaggi che hanno raggiunto un export stimato a 2,3 miliardi con un balzo del 95% in dieci anni mentre la classica “pummarola” fa salire la voce pomodori trasformati a 1,5 miliardi (+88% nel decennio). A determinare l’ottima performance dell’agroalimentare italiano sono stati però anche l’olio di oliva che è aumentato del 24% nel periodo considerato per raggiungere 1,4 miliardi a pari merito con i salumi.
Ma gli ultimi dieci anni hanno visto new entry con la crescita in Italia di produzioni che un tempo erano patrimonio esclusivo di altre nazioni. E’ il caso della birra, il cui valore delle esportazioni è triplicato (+206%) conquistando i mercati di paesi tradizionamente produttori come la Gran Bretagna o la Germania. Lo stesso discorso vale per il caviale, che in un decennio è passato da zero a 11,2 milioni di euro, invadendo le tavole della Russia prima di essere bloccato dall’embargo legato alla crisi Ucraina. Ed è triplicata (+201 per cento) pure l’esportazione di funghi freschi o lavorati.
I 2/3 del fatturato agroalimentare all’estero si ottengono con l’esportazione di prodotti agroalimentari verso i paesi dell’Unione Europea, ma il Made in Italy va forte anche fuori dai confini europei a partire dagli Usa che sono il principale mercato di sbocco extracomunitario e dove la crescita stimata per l’alimentare è stata del 71 per cento nel decennio. L’andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare da una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale che fattura oltre 60 miliardi di euro, quasi il doppio del valore delle nostre esportazioni agroalimentari, utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale
“L’agroalimentare è il secondo comparto manifatturiero Made in Italy che svolge però anche un effetto traino unico sull’intera economia per l’impatto positivo di immagine sui mercati esteri dove il cibo Made in Italy è sinonimo di qualità” conclude il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “non si è mai consumato così tanto Made in Italy alimentare nel mondo certamente per le condizioni economiche positive dovute alla ripresa internazionale e ai tassi di cambio favorevoli su mercati importanti come quello statunitense ma anche perché l’Italia ha saputo cogliere l’opportunità di Expo per raccontare al mondo il modello agroalimentare e i suoi valori unici”.
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