L’obbligo dell’indicazione d’origine del grano sulle etichette della pasta ha scatenato molte polemiche. L’associazione dei pastai presagisce che il decreto possa sfavorire un settore che esporta più del 50% della produzione. Abbiamo chiesto al Presidente dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari di Campania e Lazio qual è il suo punto di vista
Nel solco di quanto fatto per latte e derivati e pomodori, il mese scorso è entrato in vigore il decreto che istituisce l’obbligo di riportare sulle etichette della pasta il paese di coltivazione del grano e il nome del paese in cui il grano è stato macinato.
Riccardo Felicetti, presidente dell’associazione dei pastai italiani Aidepi, ha detto «Si tratta di un autogol del Paese. Sfavorisce un settore che esporta più del 50% della produzione, che crea valore anche per le filiere dell’olio e del pomodoro e che già acquista tutto il grano duro italiano adatto alla pastificazione». Sicuramente i produttori di cibo Italian sounding non vedono l’ora di brindare per una defaillance del leader mondiale della pasta.
Al centro della polemica la questione del grano duro importato dall’Italia per la fabbricazione della pasta. Abbiamo chiesto un parere al dott. Salvatore Velotto, di recente confermato per il prossimo triennio di presidenza dell’ Ordine dei Tecnologi Alimentari di Campania e Lazio.
- Velotto, come vede le varie polemiche nate sull’argomento etichette della pasta?
Premetto che la trasparenza delle informazioni riportate sulle etichette è la base per il consumo consapevole, credo che la polemica nasca dal fatto che purtroppo l’Italia non ha produzioni sufficienti di grano per soddisfare ciò che il mercato richiede. Infatti, essendo l’Italia la nazione leader mondiale del mercato della pasta, con un dato export molto importante, e quindi tra i paesi con maggiore fabbisogno di grano duro, siamo indotti ad acquistare all’estero molte tonnellate di materia prima; pertanto l’etichetta del prodotto evidenzierà che il grano non è solo Italiano potendo, eventualmente, arrecare un danno alle vendite. Non vedo però la problematica di tale questione, anche perché, oltre alla qualità del grano che è fondamentale, è altrettanto importante la tecnologia di produzione, da tempo curata da tanti tecnologi alimentari italiani. Quindi trasparenza e tecnologia alimentare permetteranno all’Italia di non perdere il primato nelle produzioni. - È vero che non tutto il grano italiano ha qualità sufficienti per essere utilizzato in purezza per fare la pasta?
Partiamo da un presupposto importante: la pasta italiana è riconosciuta a livello mondiale per la sua qualità complessiva che gli permette di tenere la cottura in modo ottimale. La pasta di grano duro è da sempre prodotta con una miscela di grani diversi per quantitativi proteici tali da rendere il prodotto unico al mondo. In effetti, più forte è la tenuta della rete proteica, meno amido fuoriuscirà in cottura, evitando quella patina sulla superficie della pasta che la rende collosa e scotta. I pastai italiani scelgono i migliori grani prodotti in aree vocate come Francia, Australia, Messico e Nordamerica, con un contenuto alto proteico che permette la migliore resa qualitativa del prodotto. - Spesso si legge che il grano estero è meno sicuro di quello italiano, corrisponde al vero questa affermazione?
In Italia, come nella restante parte del Mondo, arrivano prodotti sicuri. L’enorme lavoro dei tanti organi di controllo ne è testimonianza assoluta. - Veniamo alla questione del glifosato, l’erbicida più usato nel mondo.
L’allarmismo è sempre una brutta bestia. Il glifosato, il diserbante più utilizzato al mondo, si può trovare in quantità infinitesimali in molti alimenti. È importante precisare che bisognerebbe consumare da 100 a 600 kg di pasta al giorno per superare i livelli stabiliti dall’Efsa. Forse vale la pena ricordare che gli italiani mangiano 28 kg di pasta in un anno. - Un’ultima domanda, Tumminia, Senatore Cappelli, Aureo, sono alcune tra le varietà di grano italiano con un contenuto proteico medio del 14-15% che si classificano come alta qualità, lei come lo vede il futuro del Granaio Italia?
Come è accaduto per altri settori, penso al comparto vitivinicolo ad esempio, la soluzione di creare degli accordi di filiera tra pastai e agricoltori italiani, con premi di produzione sulla qualità, è l’arma vincente per un futuro roseo. Tali accordi dovrebbero avere l’obiettivo di garantire agli agricoltori un reddito sicuro, fissando inoltre premi di produzione legati al raggiungimento di elevati standard qualitativi del grano nazionale attraverso pratiche agricole sostenibili.
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