La comunicazione istituzionale agroalimentare italiana all’estero punta sulla qualità dei prodotti DOP e IGP, a volte tralasciando di evidenziare il vero valore dell’origine del cibo italiano.
Le Indicazioni Geografiche (DOP e IGP) nascono nel 1992 grazie al Regolamento CEE 2081/92, emanato dalla Comunità Europea con l’obiettivo di identificare un prodotto tipico di alta qualità, la cui zona di origine e le tradizioni utilizzate per produrlo lo rendono così peculiare da doverlo tutelare da contraffazioni. Nella realtà questa tutela, applicabile giuridicamente solo in Europa, non è riuscita a frenare in alcun modo l’imitazione e la contraffazione del cibo italiano e, neppure, a renderli maggiormente riconoscibili ai consumatori esteri. Infatti, su 3 prodotti italiani venduti al mondo, due sono falsi. Le frodi rimangono un problema irrisolto anche a livello europeo perché i controlli sono carenti, soprattutto sulla produzione agricola primaria.
Il Made in Italy ed il legame con il territorio rappresentano i principali driver di consumo che sempre di più influenzano le scelte di acquisto dei consumatori italiani. Che si tratti della bandiera nazionale, dei loghi “prodotto in Italia” o “100% italiano”, oppure di una delle indicazioni geografiche, i prodotti che richiamano sulla confezione la loro italianità, nei supermercati italiani vendono di più e anche a maggior valore.
Occorre però fare un distinguo tra la percezione dei prodotti IG (indicazione geografica) in Italia e ciò che invece viene percepito all’estero. Diverse indagini hanno dimostrato che solo in Italia siamo interessati all’origine della materia prima. Per il consumatore straniero che ama il cibo italiano, è sufficiente che il prodotto sia realmente fatto in Italia. Escludendo il target B2B, le peculiarità dei prodotti DOP e IGP all’estero riescono ad orientare le scelte di un manipolo di consumatori di nicchia. La “dop economy” italiana, nel 2019 ha registrato un valore alla produzione che ha superato i 16 miliardi di euro, ma con l’export del cibo italiano nel mondo non andiamo oltre la soglia dei 9,5 miliardi, su un totale di circa 46 miliardi di prodotti (wine&food) esportati. L’Italia con oltre 873 prodotti DOP, IGP e STG si conferma il Paese europeo leader con il maggior numero di prodotti certificati, prima della Francia (686) e della Spagna (336). Ma nella classifica europea dell’export è solo al 5° posto, dietro a Olanda, Germania, Francia e Spagna.
Non sembra, infatti, che all’estero i consumatori siano in grado di riconoscere i nostri marchi DOP e IGP. Il più diffuso richiamo all’italianità dei prodotti presente sulle confezioni dei presunti cibi italiani resta la bandiera tricolore o l’utilizzo di nomi, immagini e colori che richiamano all’Italia (Italian Sounding) metodi utilizzati ampiamente da competitor stranieri per confondere i consumatori.
Noi siamo convinti che il sistema agroalimentare italiano gode di un enorme vantaggio competitivo che non viene minimamente sfruttato, che si chiama Dieta Mediterranea. Da quando Ancel Keys, epidemiologo e fisiologo statunitense, intuì la relazione tra alimentazione e stato di salute e arrivò a postulare l’importanza della nostra dieta per il contrasto delle malattie cardiovascolari, la Dieta Mediterranea è un modello nutrizionale unico al mondo, riconosciuta dall’UNESCO come bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità nel 2010, ed inoltre indicata dalla FAO nel 2012 tra i regimi alimentari più sostenibili del pianeta.
Eppure, questo patrimonio è stato poco utilizzato dalle nostre aziende come supporto alla valorizzazione degli aspetti nutrizionali e salutari del cibo italiano. Nonostante sia un valore sempre attuale, come riportato di recente dalla prestigiosa rivista U.S. News & World’s Report’s, che classifica la Dieta Mediterranea come la migliore dieta al mondo sui 35 regimi alimentari presi in considerazione, in Italia sembra essere un concetto cristallizzato, come se fosse un riconoscimento ad un borgo antico, una targa, immobile nella sua bellezza.
Il valore lo conoscono bene invece nel Regno Unito, forse perché Elizabeth David, scrittrice inglese di gastronomia, nel 1950 scrisse il Book of Mediterranean Food, primo trattato sui cibi consumati sulle coste del Mediterraneo, che ebbe un notevole impatto in Inghilterra, dove cambiò i gusti alimentari degli inglesi che iniziarono ad importare prodotti italiani.
L’ho scoperto a settembre 2020 durante una piacevole chiacchierata con il sindaco di Pollica. Stefano Pisani mi ha raccontato che a seguito di un servizio televisivo fatto dalla TV inglese BBC sul Cilento nel 2016, dove testimoniavano una longevità straordinaria della popolazione locale, includendo oltre al cibo e alle sane abitudini anche le spezie della macchia mediterranea, tra cui il rosmarino, ebbene, qualche mese dopo, un imprenditore inglese, David Spencer-Percival, crea la No.1 Rosemary Water “l’acqua al rosmarino di Acciaroli che fa vivere più a lungo” e dà vita ad una spettacolare campagna pubblicitaria in tutto il mondo, coinvolgendo testimonial celebri del calibro di Henry Cavill, attore britannico interprete di Superman nel film “L’uomo d’acciaio”.
La Dieta Mediterranea è il regime alimentare sano e sostenibile per eccellenza. Le evidenze scientifiche confermano le proprietà antimicrobiche degli alimenti, gli effetti anti-ipertensivo e anti-glicemico complice della riduzione del rischio del diabete di tipo 2. La capacità antiossidante, grazie ad un’elevata presenza di fenoli, agisce sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari migliorando i valori del colesterolo LDL nel sangue. Il ricco apporto di vitamine A e C rafforza il sistema immunitario e, a completare il quadro, vanno citate le proprietà antibatteriche, analgesiche e antitumorali di frutta e verdura. Concetti ben illustrati nei due recenti libri “I segreti della dieta mediterranea. Mangiare bene e stare bene” di Marino Niola e Elisabetta Moro e “Il metodo Cilento. I cinque segreti dei centenari” di Luciano Pignataro.
In questo contesto appare oltremodo scontato che si punti sulla valorizzazione dei prodotti italiani a Identificazione Geografica (IG) che, come si diceva in prima, identificano un legame profondo con un territorio, con caratteristiche uniche e inconfondibili che dipendono esclusivamente, o principalmente, dall’area in cui vengono fatte, e che comprende sia i fattori naturali (territorio, clima, ambiente) sia quelli umani (tecniche di produzione tradizionali, artigianalità), fattori che si combinano per produrre qualcosa di unico che non può essere riprodotto al di fuori della zona di produzione specifica.
I nostri prodotti enogastronomici DOP e IGP rappresentano quindi i migliori candidati per il perseguimento dei principi della Dieta Mediterranea essendo i naturali portatori dei più qualificanti attributi che definiscono un’identità distintiva del cibo italiano: autenticità, tradizione, gusto, tipicità, legame col territorio di origine, sicurezza alimentare. Se a queste qualità aggiungiamo i valori della tracciabilità, del benessere e della sostenibilità siamo convinti che la Dieta Mediterranea possa valorizzare ulteriormente la brand equity del Made in Italy, diventare il nuovo argomento di promozione delle nostre eccellenze agroalimentari, attirare l’interesse di un numero sempre maggiore di consumatori e favorire lo sviluppo di una strategia di Green Economy italiana.
La sfida per una gran ripartenza del sistema agroalimentare italiano all’estero sarà riuscire a comunicare gli attributi di benessere, sostenibilità e salubrità del cibo italiano, da un lato per contrastare la diffusione di informazioni fuorvianti sul tema della nutrizione, quali le “etichette a semaforo”, il NutrInform e il Nutriscore, dall’altro per sancire definitivamente in tutto il mondo quell’inestimabile valore aggiunto costituito dalla distintività e inimitabilità dei nostri prodotti.
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