È proprio così che si chiama, Pisello centogiorni, perché è questo il tempo che impiega per portare a termine il suo ciclo produttivo. Quante altre curiosità potremmo svelare di questo autentico prodotto Made in Campania? Proviamoci…
Il Pisello centogiorni ha rischiato di scomparire come altre biodiversità campane. I semi sono adesso conservati nella Banca del Germaplasma della Campania, e grazie a un gruppo di ricercatori e con il supporto di alcuni coltivatori, l’interesse per questo legume è tornato in auge nella zona del Vesuvio.
Temere per la scomparsa di questa varietà ha donato al pisello centogiorni un alone di affetto oltre che spirito di rivalsa, che ha costruito una storia bella intorno ad esso, una rinascita, legata ad un gruppo di ricercatori che con la complicità di alcuni agricoltori riescono a reperire circa mezzo chilo di semi delle poche famiglie di agricoltori di Trecase che lo coltivavano ancora, esclusivamente per il loro consumo negli orti familiari. Si narra che per capire chi potesse ancora custodire i semi il Sindaco di Trecase abbia convocato in comune tutti gli agricoltori.
L’attenzione rinnovata verso i sapori genuini del territorio ha fatto sì che venisse riconsiderata la coltura del Pisello centogiorni, grazie al lavoro di Patrizia Spigno e Maria Lionelli, assieme ad alcune aziende agricole (tra cui citiamo Vera Verrone, Vincenzo Egizio e Bruno Sodano) hanno spinto alla sua tutela attivando il Presidio Slow Food. Anche questa volta il cibo autentico Made in Campania ha ricevuto il suo riconoscimento, e per di più c’è un ambasciatore che promuove il Pisello centogiorni, il suo nome è Fofò Ferriere, “ristorattore”, come ama definirsi lui stesso, primo estimatore e divulgatore delle bontà vesuviane.
Ecco alcune curiosità sul Pisello centogiorni
Qual è la sua origine?
I piselli, come la maggior parte dei legumi risalgono al Neolitico. Le prime tracce di coltivazione si ritrovano nella Mezzaluna fertile, quel lembo di terra bagnato dal Tigri e l’Eufrate che arriva fino al Nilo, e risalgono all’anno 8.000 a.C.. Presto si diffusero anche nel continente asiatico e giunsero fino all’Europa, dove nel corso dei secoli sono stati ospiti in diverse corti, da quella di Carlo Magno, passando per la dinastia de’ Medici, per poi approdare in Francia ai banchetti di Luigi XIV. Ad ogni modo il Pisello centogiorni è il risultato di un legame forte con la natura vulcanica del suo terreno, che conferisce a questo legume la delicatezza e la dolcezza che hanno valso l’impegno alla sua salvaguardia.
Fino agli Anni Settanta le pendici del Vesuvio erano coperte per almeno 500 ettari di coltivazione a Pisello centogiorni. Come avvenuto per altri tipi di specie coltivate in Campania, come a esempio il pomodoro San Marzano, la corsa all’industrializzazione che richiedeva varietà più produttive e più adatte alla trasformazione moderne e soprattutto impianti meccanizzabili, ne ha causato l’abbandono a favore di varietà comuni.
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Come si coltiva?
La coltivazione del Pisello centogiorni ha una coltre di magia e di tradizione che si ricollega anche a saperi indigeni. La stagione della semina si apre in concomitanza dei festeggiamenti della festa votiva della Madonna della Neve, il 22 ottobre. Tuttavia, il giorno preciso viene scelto da alcuni coltivatori in base alle fasi lunari. È proprio così, parte della tradizione contadina (oggi elevata a discussa disciplina conosciuta come agricoltura biodinamica) assegna alla fase della luna crescente un afflusso di positività per le parti aeree della pianta, vale a dire il fusto e le foglie, nonché per la capacità produttiva della semina. Scaramanzia o no, riscontro scientifico o no, gli agricoltori si dividono tra credenti e scettici. Ma se vi trovate a parlare con Fofò Ferriere vi dirà che la scaramanzia non costa nulla, e su questo possiamo essere tutti d’accordo.
Ad ogni modo, quello che non può essere soggettivo è l’impegno per la coltivazione, che in tutte le fasi, dalla semina alla raccolta, che va da marzo ad aprile, fino alla prima decade di maggio, è esclusivamente svolta a mano.
Le buche dei semi sono distanziate tra loro di almeno 10-12 cm e tra una fila ed un’altra c’è un distanziamento di circa 1 metro. Vengono successivamente apposti pali e reti per consentire il sostegno alle piante che raggiungono un’altezza variabile tra 1,70 m e 2 m. Dopo la raccolta i piselli vengono sistemati in cassette di legno e smistati ai mercati.
Come si riconosce quello autentico?
Il frutto è costituito da un baccello color verde chiaro con peduncolo corto, ognuno di esso contiene in media 7-10 semi. Allo stadio ceroso i piselli presentano un colore verde chiaro. Allo stadio secco invece, la tonalità si accosta ad un giallo-beige.
Le proprietà organolettiche di spicco sono legate all’estrema dolcezza e delicatezza della buccia, difatti non sono necessarie lunghe cotture proprio per non intaccarne la consistenza. Molti amano mangiarlo addirittura crudo per quanto è tenero e dolce.
Quali altre curiosità abbiamo trovato?
I piselli, così come anche le altre varietà di legumi, venivano considerati valida alternativa nei periodi di povertà, o anche di guerra. In particolare, la farina che se ne ricavava da essi veniva utilizzata per svariate ricette in sostituzione della carne, e che erano molto apprezzate per le caratteristiche nutritive tanto che venivano incluse nelle razioni k, il cibo per i soldati.
Meritano un accenno anche i fiori del pisello. Sono vaporosi come il tulle e dal profumo delicato. Anche questi ultimi non esulano dalla magia mistica. Il pisello centogiorni dona fiori bianchi e gialli che spesso venivano intrecciati in coroncine e regalati alle spose come buon auspicio.
E c’è addirittura chi suppone che Hans Christian Andersen scrisse la fiaba “La principessa sul pisello” dopo aver soggiornato a Napoli nel 1834 ed aver conosciuto i piselli assenti nell’agricoltura danese.
I piselli centogiorni meritano a tutti gli effetti di rientrare tra le varietà da tutelare e conoscere. Anche solo per poter assaggiare la pasta e piselli freschi come viene fatta nelle zone vesuviane e come ve la racconterebbe Fofò Ferriere, che ama ricordare un pensiero dello chef francese Paul Bocuse: “l’egemonia della cucina francese finirà quando gli chef italiani avranno la consapevolezza della ricchezza dei loro prodotti e delle loro tradizioni”.
Questo prodotto lo puoi trovare sull’app gratuita Authentico Made in Campania, un progetto della Direzione Generale delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali della Regione Campania, in collaborazione con Authentico, per la promozione e la tutela delle eccellenze gastronomiche della Campania.
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