In Italia l’attenzione per la materia prima degli alimenti è crescente. La pasta è il vero simbolo del Made in Italy nel mondo. La volontà di accontentare i consumatori spinge i pastifici italiani a dichiarare l’obiettivo di produrre pasta made in Italy esclusivamente con grano italiano. Ma questo nella totalità è praticamente impossibile.
Nella prima parte di questo articolo eravamo partiti da una recente intervista sull’inserto Economia del Corriere della Sera, al Presidente del Pastificio De Cecco, Filippo Antonio De Cecco, che aveva dichiarato che il loro pastificio importa dal Nord America “una parte importante del grano”.
Abbiamo appurato che l’importazione di grano dall’estero, definita spesso “importazione tecnica”, è indispensabile per coprire il fabbisogno italiano di grano duro per la pasta e per creare una giusta miscela delle semole da grano duro per realizzare la migliore pasta italiana (pasta made in Italy) che tutto il mondo ci invidia. Ma in molti consumatori resta il timore che ci siano alti residui di glifosato nelle paste prodotte con grano estero, una convinzione generata da molte fake news.
Data la complessità dell’argomento, avevamo lasciato una serie di domande in sospeso che proviamo ad analizzare di seguito come nostra abitudine confrontando punti di vista differenti.
Quali sono le regioni dove si produce più grano in Italia?
La regione con la maggiore produzione di grano duro in Italia, secondo i dati ISTAT 2017, è la Puglia con circa 943.000 tonnellate. Segue la Sicilia con una produzione di 807.000 tonnellate. Più a nord troviamo l’Emilia-Romagna e le Marche, rispettivamente con 461.000 e 455.000 tonnellate. Seguono Basilicata, Molise, Toscana e Campania con produzioni inferiori alle 300.000 tonnellate. Purtroppo i dati recenti 2019 hanno confermato che la coltivazione di grano duro in Italia è scesa sotto le 4 milioni di tonnellate, in riduzione del 5% rispetto al 2018.
Ma il “Made in Italy” non dovrebbe utilizzare materia prima italiana?
“Prodotto in Italia” non significa che le materie prime sono italiane. Significa semplicemente che il cibo è realizzato, ovvero trasformato, ovvero prodotto sul territorio nazionale. L’idea contraria, come riportato anche in un recente servizio della trasmissione televisiva Report RAI sulla pasta, è una forzatura del concetto che viene volutamente frainteso da quei movimenti di consumatori che vorrebbero solo materia prima italiana. A questa obiezione, il dott. Filippo Antonio De Cecco risponde come segue: “il ‘fatto in Italia’ è la capacità di trasformare secondo le nostre leggi antiche, non è per forza coltivare nella Penisola. Siamo un Paese di bravi trasformatori, questo i consumatori lo devono capire. Non tutta la materia prima riesce a soddisfare i consumi. E questo vale per tutto l’alimentare. L’origine segnalata sulle etichette può essere fuorviante. Comunque, con il recepimento della legge europea spariranno. D’altronde lì non si può leggere il lavoro che c’è dietro i prodotti”.
Effettivamente in Italia dovremmo valorizzare di più il nostro saper fare e non puntare tutto esclusivamente sulla materia prima. Come abbiamo scritto in passato, esportiamo caffè e cioccolato (anche IGP) ma non coltiviamo in Italia nessuna delle due materie prime (caffè e cacao) che selezioniamo con cura, importiamo dall’estero e trasformiamo grazie all’eccellente artigianalità che ha sempre contraddistinto il Made in Italy.
Con l’ipotesi di blocco delle importazioni del grano estero non si rischierebbe di distruggere il mestiere dei maestri pastai italiani?
La nostra pasta deve cuocere dieci-dodici minuti a gennaio come ad agosto, per questo le miscele devono essere standard, per garantire la qualità della pasta migliore costantemente, e questo dipende dal grano scelto, ma soprattutto dal manico del pastaio. Il grano è un prodotto agricolo e, a seconda delle condizioni climatiche, lo stesso terreno potrà produrre un anno un raccolto eccellente, l’anno dopo uno meno buono, e così via. Per questo da sempre i nostri maestri pastai cercano, scelgono e miscelano i grani migliori al mondo, combinando le diverse varietà di grano come un pittore mescola i colori.
Sembra un paradosso ma il ricorso al grano estero di qualità permette anche di gestire la variabilità della produzione nazionale e aiuta la sostenibilità della filiera del grano italiano.
Perché alcuni marchi pasta stanno utilizzando dei grani antichi?
La tendenza di produrre pasta con grani 100% italiani e con un’immagine di forte legame ai territori di origine ha portato al prepotente ritorno dei cosiddetti “grani antichi” italiani come il Senatore Cappelli, Tumminia, Svevo, Saragolla, Russello, Bidì, Biancolilla, Ardito, Maiorca, Perciasacchi, Normanno, Aureo e Pigreco, alcuni dei quali hanno un contenuto proteico che consente una classificazione come grano di qualità ma che hanno sopratutto una forte immagine marketing evocata dalla parola “antico”, che però di fatto sono grani di 50-100 anni fa spesso ottenuti da ibridazioni, incroci o da selezioni varietali. Questi grani vengono comunicati come più autentici, meno raffinati, più digeribili e meno ricchi di glutine rispetto al grano oggi coltivato su larga scala. Ma diverse studi e ricerche hanno dimostrato che queste informazioni non sono del tutto vere.
Ad ogni modo queste varietà di grano duro sono coltivati su superfici limitate, soprattutto in Puglia e Sicilia e soddisfano il fabbisogno solo di piccoli pastifici o di linee di prodotto di medie aziende. E poco importa se alcune di queste varietà, come il grano Aureo, Svevo e Pigreco, viene commercializzato dalla Syngenta AG, una multinazionale svizzera che produce semi e prodotti chimici per l’agricoltura che risulta essere il terzo rivenditore al mondo di semi e prodotti biotecnologici, dietro alla Monsanto e alla DuPont Pioneer.
Se alcune varietà di grano italiano hanno meno proteine e meno glutine come si fa a produrre una pasta che tiene la cottura?
Nel 2007 una ricerca mise in evidenza che il processo di essiccazione spinto ad alta temperatura migliora la qualità di cottura anche nella pasta con glutine debole. In altre parole, alzare la temperatura durante la fase di essiccazione sino a 85/90°C (nei casi estremi) permette alla pasta ottenuta con grano non eccellente di tenere bene la cottura (generalmente fino a 9 minuti). Chi invece usa semola di qualità ottiene lo stesso risultato a temperature inferiori, da qui la famosa frase “a lenta essiccazione” riportata sulle etichette. Un piccolo consiglio per riconoscere il tipo di essiccazione e confrontare lo stesso formato di marche di pasta, più la colorazione della pasta è scura maggiore è la temperatura di essiccazione, di conseguenza minore è la qualità della semola utilizzata.
Qual è il rischio se abbassiamo la qualità per accontentare l’emotività di alcune fasce di consumatori?
In un mondo che mangia e produce sempre più pasta, la competitività della pasta Made in Italy è legata a doppio filo alla qualità che tutti apprezzano. Come riporta il Sole24 Ore “c’è però un dato allarmante, la supremazia della pasta italiana a livello globale rischia di svanire, minata dall’aggressività di competitor stranieri. Negli ultimi anni Paesi extra Ue stanno aumentando di molto la loro capacità produttiva. Emblematico il caso della Turchia, in cui la produzione di pasta è cresciuta del 77% in soli 5 anni, passando da 850.000 tonnellate ad oltre 1,5 milioni.”
Se venisse prodotta pasta con il solo grano nazionale, gli italiani dovrebbero rinunciare a 3 piatti di pasta su 10 e perderemmo il primato di leader mondiale di produzione ed esportazione di pasta, con danni enormi al settore e agli altri comparti trainati dall’export di pasta, come olio, formaggio e pomodoro, favorendo di fatto i produttori di pasta Italian Sounding.
Ma quindi tutti coloro che scrivono grano 100% italiano mentono?
Assolutamente no, una cosa è parlare di fabbisogno per il sistema Paese altra cosa sono le aziende che hanno una produzione più limitata, se comparata ai tre colossi italiani Barilla, De Cecco, Divella e che compaiono in qualche classifica migliore pasta italiana. Ancor più facile per i pastifici artigianali che avendo una produzione limitata hanno un minor fabbisogno di grano duro. Alcuni pastifici italiani hanno creato una filiera controllata di grani made in Italy e magari miscelano diverse varietà italiane per trovare la formula giusta per il loro prodotto 100per100 italiano. Di recente un intervento dell’Antitrust ha multato alcuni pastifici.
Quale futuro per la pasta made in italy 100%?
Per giudicare la qualità della pasta made in Italy gli aspetti da tenere in considerazione sono diversi e non verranno certo risolti con il decreto della “indicazioni dell’origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro”. Lo sforzo nel miglioramento genetico attuato negli ultimi anni ha portato a qualche risultato positivo e alla formazione di filiere, ma il problema fondamentalmente resta irrisolto. Occorre investire in ricerca per ottenere nuove varietà di grano in grado di consentire, anche in condizioni difficili, una produzione di qualità. Allo stesso tempo servono nuove tecnologie agronomiche e migliorare la fertilità dei suoli. A livello commerciale appare indispensabile adottare uno stoccaggio differenziato delle partite di grano in base alla qualità, come viene fatto all’estero.
La ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, appunto ieri ha annunciato, durante l’incontro con i rappresentanti della filiera del grano e della pasta che si è svolto nella sede del ministero, un Piano Strategico per la filiera grano/pasta che guardi al 2030 e che abbia come aree prioritarie contratti di filiera, investimenti sui siti di stoccaggio, ricerca e innovazione, trasparenza sul prezzo, trasparenza sull’origine, sostegno alla comunicazione della pasta in Italia e all’estero, lotta agli sprechi alimentari.
La verità sulla pasta, per favore
In merito alla provenienza del grano l’obbligo di indicazione dell’origine del grano della pasta di semola di grano duro (paese di coltivazione e paese in cui è macinato) è stato prorogato fino al 31 dicembre 2021. Questo dimostra che il consumatore consapevole italiano ha interessa ad ottenere al trasparenza sull’origine, meglio se certificata!
Anche noi siamo d’accordo ad una maggiore trasparenza, ma deve essere reale e comprovabile. Non basta fare le confezioni traslucide. La sola dichiarazione della materia prima consente a qualcuno di definire italiano quello che non lo è. Abbiamo bisogno di prove. Crediamo che la certificazione della filiera agroalimentare attraverso la piattaforma blockchain, nonostante non sia ancora del tutto priva di difetti, sia la migliore soluzione disponibile oggi per garantire una maggiore garanzia per il consumatore. Per tale motivo Authentico ha rilasciato una soluzione di tracciabilità alimentare della filiera certificata in blockchain per le aziende agroalimentari.
Il made in Italy deve essere in prima fila in questa rivoluzione della tracciabilità alimentare che assicura la tutela della qualità, della sicurezza alimentare, e maggiore protezione contro frodi e contraffazioni. Uno strumento grazie al quale ciò che acquistiamo e che portiamo in tavola non ha più segreti. Sicurezza e trasparenza garantite al 100%!
Se desiderate maggiori informazioni sulla soluzione Authentico Blockchain scrivete una mail a info@authentico-ita.com
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