Una recente indagine rivela che il 50% dei cinesi benestanti non conosce i prodotti agroalimentari italiani, sette su dieci associano il vino solo alla Francia. Pasta, Tiramisù, Ferrero e Illy sono i brand italiani più noti
La nuova upper class di Pechino e Shanghai conosce la pasta italiana e identifica il Barolo come celebre vino italiano, ma quando è stato chiesto di fare un’associazione di un prodotto o di un brand agroalimentare con l’Italia, la risposta del 50% degli intervistati è stata: “non so”.
Questi sono solo alcuni dei risultati dell’indagine dell’Osservatorio Paesi terzi di Business Strategies sul posizionamento in Cina i prodotti Made in Italy, realizzata da Nomisma Wine Monitor su un campione di 1.000 cittadini dal reddito medio-alto residenti nelle due moderne megalopoli di Pechino e Shanghai. Questa indagine rappresenta un estratto di una più ampia ricerca relativa alla percezione del lifestyle italiano anche in rapporto ai propri competitor, ai gusti e alle abitudini di consumo dell’upper class cinese di Pechino, Shanghai, Canton e Hong Kong.
“L’equazione Italia=buona tavola è un’associazione che non può ancora essere data per scontata in Cina – ha detto Silvana Ballotta, Ceo di Business Strategies –. A fronte di un mercato in crescita e di un primo trimestre record a + 41,4% per il vino italiano, solo la metà dei consumatori dimostra di saper associare al nostro Paese almeno un prodotto enogastronomico. Questa mancanza, da un lato di conoscenza e dall’altro di promozione, si traduce in un deficit di comprensione sul fronte consumer e in una conseguente difficoltà di posizionamento per i nostri produttori, a vantaggio dei competitor”.
Il 70% dei cinesi intervistati associano la categoria “vino” alla Francia, mentre sono solo il 20% associa l’Italia. Quando si passa al cibo il risultato migliora di poco: l’Italia è menzionata dal 25% del campione, dietro al Giappone (37%), ma per fortuna prima di Francia (15%) e Usa (14%).
I dati della ricerca ci dimostrano che è la pasta il cibo italiano più conosciuto dai cinesi, nominata dal 31% di coloro che danno un’indicazione di un prodotto associato; seguito dai marchi Ferrero (10%) e Illy (4%) per coloro che invece all’Italia associano un brand. Ancora incredibilmente deludente l’associazione della pizza (4%) e dell’olio d’oliva (3%), invece a sorpresa il Tiramisù batte gli spaghetti. Sono citati con frequenza anche il marchio Barilla, il formaggio e i maccheroni.
La classifica del vino vede primeggiare tra i più citati: il Barolo (13%), Amarone (7%) e Chianti (6%), seguiti anche da risposte come “Piemonte”, “Docg”, “Italia”, “vino italiano”, “vino rosso” e “Toscana”. Come fanno notare giustamente gli analisti, queste sono evidenze di una sostanziale confusione culturale rispetto al prodotto enologico Made in Italy.
Non c’è da sorprendersi troppo in una nazione così vasta (1,3 miliardi di abitanti), che vanta di una cultura culinaria millenaria, dove la cucina locale continua a dominare, con qualche piccola intrusione asiatica e francese. Nei supermercati cinesi il cibo italiano si trova negli scaffali dedicati al cibo etnico di importazione. Un paese dove però l’upper class è molto attenta al cibo italiano perchè lo reputa salubre e lo preferisce nella dieta, sopratutto dei loro figli, evitando di acquistare cibo locale, in molti casi contaminato da decenni di inquinamento senza regole.
La sicurezza alimentare del cibo italiano può essere la chiave per diffondere meglio le nostre eccellenze Come la capacità di saper comunicare e di saper favorire un cambiamento culturale a tavola, dove per la pasta, ad esempio, vengono preferiti solo i formati lunghi perché simili agli spaghetti cinesi “mian” e quindi gestibili con le bacchette meglio di quanto i cinesi riescono a fare con i formati corti.
Per fortuna, come ha raccontato Giuseppe Di Martino, Presidente del Pastificio Di Martino di Gragnano, in una recente intervista su Rep Food “le cose stanno cambiando, nelle nuove commedie cinesi i giovani mangiano con la forchetta”.
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In Cina i prodotti Made in Italy hanno bisogno di colmare un enorme gap conoscitivo. I giovani istruiti dell’upper middle class cinese, che vivono prevalentemente nelle metropoli, non hanno tempo e voglia di andare al supermercato e preferiscono acquistare online. Il più grande portale di commercio elettronico del mondo Alibaba, fondato dal cinese Jack Ma, rappresenta una grande opportunità per le imprese italiane. L’hanno intuito le aziende del consorzio Tradizione Italiana* che da alcuni mesi hanno aperto un negozio online sulla piattaforma TMall di Alibaba. Lo stesso Di Martino, che è anche Amministratore Delegato del consorzio Tradizione Italiana, di cui il Pastificio Di Martino fa parte, parlando di Alibaba, afferma “ci fa arrivare in tutto il Paese senza intermediari, garantisce magazzino, consegna e credito”.
In un mercato così vasto e così ricco (in cina ci sono circa 300 milioni di benestanti), la conoscenza limitata delle eccellenze Made in Italy può rappresentare una minaccia per le aziende agroalimentari italiane perché costituisce, di fatto, un vantaggio per i produttori di falso cibo italiano (italian sounding) che hanno gioco facile ad ingannare i consumatori. Meditate produttori… meditate!
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*il Consorzio Tradizione Italiana rappresenta un fatturato aggregato di 1.2 miliardi di euro, con una quota export del 40%.
Tra le aziende associate: Acetificio Marcello De Nigris (aceto, aceto balsamico e condimenti); Besana (nocciole, frutta secca, semi, cioccolato e snack); D’Amico (sottoli e sottaceti, olive, sughi e pesti); Fattorie Garofalo (mozzarella di bufala e filiera bufalina); Fresystem, Cupiello (pasticceria surgelata, dolce e salata); Kimbo ( caffè); La Doria (pomodoro pelati, conserve di pomodoro, sughi pronti, legumi in scatola e succhi di frutta); Oleificio Basso Fedele & Figli (oli); Pastificio G. Di Martino e F.lli (pasta); Rago (insalate); Selezione Casillo (farine e semola); Villa Matilde (vini).
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