Il pericolo ora arriva dagli Stati Uniti: i dazi USA potrebbero colpire pesantemente le aziende italiane e favorire la diffusione del fenomeno Italian Sounding. Come inciderà sul nostro obiettivo di raggiungere i 50 miliardi di export nel 2020? Quale futuro per le nostre aziende agroalimentari?
L’export dei prodotti alimentari italiani ha chiuso il 2017 con risultati eccezionali, 41 miliardi di euro, +7% rispetto al 2016, tanto da far sperare di raggiungere il traguardo di 50 miliardi per il 2020. Le circostanze alle quali pochi hanno dato risalto sono che queste performance dipendono in gran parte dalla caduta di dazi e dalle condizioni di import più morbide di alcuni Paesi per i nostri prodotti. Il lavoro diplomatico del MIPAAF, assieme ai Ministeri degli Affari Esteri, della Salute e MISE, ha portato alla rimozione di importanti barriere non tariffarie sui prodotti agroalimentari Made in Italy. Ad esempio, negli USA è stata aperta l’importazione ai salumi italiani, in Cina è stato rimosso il bando sulle nostri carni suine, in Giappone si è ottenuto il via libera a importazioni carni bovine, agrumi ed altri frutti.
Ora arriva la doccia fredda! La decisione del Presidente Donald Trump di imporre dazi fino al 100% potrebbe penalizzare le nostre vendite negli Usa e far aumentare il fenomeno Italian Sounding. Una notizia che fa tremare le aziende italiane: per quelle che esportano negli States si prospetta un futuro tutt’altro che roseo, visto che bisogna anche fare i conti con un mercato interno stagnante. Ricordiamo, infatti, che gli Stati Uniti con 4,03 miliardi di euro sono di gran lunga il principale mercato fuori dai confini dell’Ue e il terzo in termini generali dopo Germania e Francia e prima della Gran Bretagna.
Nonostante le proteste dei movimenti sfavorevoli ai trattati di libero scambio, gli ultimi accordi commerciali facevano ben sperare. L’intesa commerciale con il Giappone, che probabilmente entrerà in vigore all’inizio del 2019, prevede infatti l’azzeramento dei dazi applicati sui prodotti Made in Italy: i nostri formaggi, per esempio, che oggi pagano circa il 30% di tasse per entrare alla frontiera nipponica, fra 17 anni non pagheranno più nessuna imposta. Anche il Ceta, l’accordo con il Canada entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre del 2017, con l’abolizione del 99% dei dazi doganali si propone di aiutare le grandi e piccole aziende ad aver accesso al mercato americano e di ridurre la burocrazia legata alle esportazioni. Per non parlare del tanto osteggiato TTIP.
In questo contesto, con il rischio di chiusura delle frontiere, si pone inoltre il problema di proliferazione sul mercato statunitense del fenomeno Italian Sounding. Gli stranieri che amano il cibo italiano, lo conoscono poco e, purtroppo, scaltri produttori esteri approfittano di ciò, consapevoli dell’enorme appeal dell’enogastronomia italiana, così creano ed immettono sul mercato imitazioni fac-simili dei nostri prodotti. Con i dazi che limiterebbero le importazioni estere i produttori locali festeggerebbero sicuramente con magnum di prosecco made in California!
Tra i cibi a rischio dazi Usa, pubblicata dall’United States Trade Representative, ci sarebbero salumi, formaggi, pomodoro e cioccolato: l’Italia sarebbe sicuramente tra i paesi più danneggiati, con i tanti prodotti DOP IGP che continuano a rappresentare un fattore chiave della crescita del Made in Italy nel mondo. Nella black list di 90 prodotti non dovrebbe esserci il vino, che risulta essere il prodotto più gettonato dagli statunitensi, tanto da accrescere considerevolmente il proprio peso sulle esportazioni italiane.
Cosa comporterà per le imprese italiane l’imposizione di dazi da parte degli Usa? L’obiettivo di raggiungere, nel 2020, i 50 miliardi di euro diventa un’utopia?
Sicuramente tantissime piccole imprese, dotate di risorse finanziarie ridotte per poter affrontare i mercati esteri, non potranno più permettersi di esportare negli States. Nonostante il boom della cucina italiana, purtroppo solo il 25% delle aziende del settore agroalimentare è presente in maniera sistematica sui mercati esteri. Sicuramente uno dei problemi è il ridotto investimento nella comunicazione e nel marketing, mentre si preferisce partecipare solo a fiere, esposizioni o affidarsi ad intermediari locali. La promozione del Made in Italy nei principali mercati passa, quindi, per un numero ristretto di aziende che, inevitabilmente, orienta anche le scelte dei consumatori.
In mercati come la Cina, per esempio, dove oltre 730 milioni di persone navigano sulla rete, hanno un età media di 36 anni e il 33% circa acquista online prodotti esteri, sarebbe opportuno, in primis, essere presente sul web. Guardando i dati dell’ultimo Rapporto Isme-Qualivita si scopre che il punto debole del sistema è proprio questo: solo il 42% dei produttori Food e wine ha, per esempio, un profilo sui social network, anche se il dato è in crescita rispetto al 2016 (+11%).
Per le aziende italiane del comparto agroalimentare sicuramente la sfida nei prossimi anni sarà quella di farsi conoscere, continuando a puntare sulla qualità e, soprattutto, sulla comunicazione, senza trascurare la tutela delle nostre eccellenze che vanno difese dal fenomeno Italian Sounding. Molte aziende italiane stanno aderendo all’iniziativa NODAZI della Fondazione Qualivita che ha promosso un appello per un mercato libero, ma con regole certe,
Noi ci auguriamo che il Presidente Trump cambi idea, tuttavia auspichiamo che questo scenario funesto inviti i movimenti contrari ai trattati di libero scambio ad una riflessione: forse è meglio un cattivo accordo che nessun accordo!
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