L’ingrediente più discusso degli ultimi anni che divide associazioni e consumatori tra favorevoli e non. Ma davvero fa male alla salute? Danneggia veramente l’ambiente? Ecco tutto quello che devi sapere
Un argomento che divide associazioni, comunità scientifica e, soprattutto, consumatori. C’è chi sostiene che non fa male e chi, invece, ha fatto del vero e proprio terrorismo alimentare ai danni dell’olio di palma, riconoscendolo come tossico ed altamente nocivo per la salute dei consumatori. E così molte aziende hanno deciso di eliminare l’ingrediente “killer” dai prodotti alimentari e di sostituirlo con altri, come l’olio di cocco o il burro di cacao. Ma qualcuno si è mai chiesto se questi fanno meno male? La Coop e la Mulino bianco, per esempio, hanno escluso completamente l’olio di palma da tutti i prodotti a marchio, mentre la Plasmon lo ha eliminato dalla produzione dei biscotti per neonati e bambini.
La Ferrero, dal canto suo, ne ha difeso a spada tratta l’utilizzo nei suoi prodotti. Nel recente spot pubblicitario, infatti, sostiene che l’olio di palma è sicuro, di qualità e proviene da fonti sostenibili.
Ecco il video della Ferrero.
Olio di palma, questo misterioso ingrediente
Sui mass media è un proliferare continuo di messaggi allarmistici e campagne che demonizzano l’olio di palma, mentre si diffondono le liste delle aziende da boicottare e dei prodotti da evitare, un vero e proprio terrorismo mediatico. Conosciamo questo misterioso ingrediente. A difesa dell’uso dell’olio di palma è nata nel 2015 l’Unione per l’Olio di Palma Sostenibile, un network costituito da multinazionali, che sostiene l’uso di questo prodotto e, soprattutto, la creazione di una filiera 100% sostenibile entro il 2020. Ne fanno parte Aziende e Associazioni come la Ferrero S.p.A. e la Nestlé Italiana S.p.A.
L’olio del frutto di palma è un prodotto di origine naturale, estratto per spremitura dalla polpa dei frutti della palma da olio. I frutti vengono sterilizzati tramite vapore, denocciolati, pressati e filtrati, senza uso di solventi. Oggi è l’olio vegetale più usato al mondo (35% del totale). Attualmente Malesia e Indonesia sono i più grandi produttori. L’industria alimentare lo sceglie per alcune caratteristiche: la capacità di conferire ai prodotti la necessaria “croccantezza” o cremosità; il sapore e la fragranza neutri che non influenzano le caratteristiche degli altri ingredienti; la resistenza a temperature elevate e all’ossidazione, che lo rende più adatto di altri oli e grassi in alimenti cotti (fonte: Unione per l’Olio di Palma Sostenibile).
Davvero l’olio di palma fa male alla salute?
Vi siete mai chiesti se fa male mangiare biscotti al burro fatti in casa? Di certo mangiare una elevata quantità non farà così bene al nostro colesterolo! Quello che viene messo sotto accusa per quanto riguarda l’utilizzo di olio di palma è la presenza di grassi saturi, il 49%, quantità in realtà inferiore rispetto a quella contenuta nel burro, nella margarina e nello strutto. I grassi saturi sono presenti anche nei prodotti di origine animale, pesce escluso, e potrebbero contribuire all’aumento del colesterolo nel sangue. Quindi, se consumati nell’ambito di una dieta varia ed equilibrata, non contribuirebbero ad aumentare il rischio di malattie cardiovascolari.
L’ingrediente incriminato è stato anche accusato di essere cancerogeno: l’Airc ha spiegato che le sostanze tossiche e pericolose si formano solo quando gli olii sono trattati a temperature superiori ai 200 °C, cosa che di norma non accade nei processi di lavorazione dell’industria dolciaria. Per questo motivo né l’EFSA (L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), né la Commissione Europea hanno, quindi, mai chiesto il bando dell’olio di palma.
Impatto ambientale: 100% sostenibilile, è possibile?
Obiettivo: 100% di olio di palma sostenibile entro il 2020. Una traguardo raggiungibile? L’Unione per l’Olio di Palma sostiene che la palma da olio ha la migliore resa produttiva, 3,47 tonnellate per ettaro, di molto inferiore rispetto ad altri oli, richiede poco terreno, poca acqua e pochi concimi e fertilizzanti. Visione completamente opposta quella di Mirko Busto, deputato del Movimento 5 Stelle, che ha creato un sito web di parere completamente opposto, promuovendo anche una petizione contro la Ferrero. Busto sostiene che la certificazione viene rilasciata dalla RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), un’associazione composta da aziende e associazioni ambientaliste, ma interamente dipendente dalle multinazionali del settore. A favore dell’olio di palma anche WWF Italia che invita i consumatori a non boicottarlo per non favorire oli vegetali alternativi, che avrebbero un impatto maggiore dal punto di vista ambientale.
Quindi: olio di palma si o no?
La Coldiretti fa sapere che c’è stato un aumento di acquisti di cibi senza olio di palma (+17,6%): il risultato è che 6 italiani su 10 evitano di comprare prodotti alimentari che lo contengono. Ma davvero chi non consuma olio di palma lo fa consapevolmente? Perché in Italia abbiamo assistito ad una vera e propria psicosi nei confronti di questo ingrediente?
Partiamo da una constatazione: quello di palma è oggi l’olio vegetale più esportato al mondo, raggiunge il 60% del totale. Essendo una fetta di mercato molto interessante, potrebbero esserci interessi solo commerciali? Parliamo di un business già rilevante e destinato a crescere ulteriormente nell’arco del prossimo decennio.
Anche colossi come Barilla, dopo aver battagliato a lungo cercando di far capire che l’olio di palma era buono e non distrugge le foreste, alla fine ha ceduto creando varie linee di frollini della Mulino Bianco senza l’ingrediente incriminato. Approfondendo quanto accaduto in Italia, è emerso che in realtà la prima petizione contro l’utilizzo dell’olio di palma nei prodotti alimentari aveva raccolto appena 120 mila firme. I media hanno fatto il resto e alla fine alcune importanti aziende, pur di attrarre il consenso e fare notizia, hanno ceduto ai desideri (e capricci) di una sparuta minoranza.
Interessante l’articolo di Nassim Nicholas Taleb, docente di Ingegneria del rischio alla New York University, “The Most Intolerant Wins: The Dictatorship of the Small Minority” in cui si dimostra come il più intollerante vince anche se vale meno del 3%. Ecco cosa scrive:
“Basta che un certo tipo di minoranza intransigente raggiunga un livello minimo, come il 3 o il 4 per cento, perché l’intera popolazione finisca per sottomettersi alle sue preferenze. Questo fenomeno produce al contempo un’illusione ottica: un osservatore ingenuo può avere l’impressione che quelle scelte siano volute proprio dalla maggioranza stessa”.
Nella ristorazione, per esempio, a giudicare dal numero di ristoranti vegani sembra che tutti siano diventati intolleranti alla carne e ai derivati animali ma poi, analizzando i dati dell’Istituto Eurispes, si scopre che in realtà i vegani sono meno dell’1% della popolazione italiana.
In conclusione, sull’ olio di palma è stata fatta molta disinformazione e alcuni media e siti hanno contribuito ad alimentare allarmismi e pregiudizi. In merito, per esempio, alla dicitura “senza olio di palma” il Ministero dello Sviluppo Economico, in realtà, si è espresso affermando che il ricorso a questo claim è legittimo solo in presenza di ingredienti più salutari e più sostenibili, condizioni da verificare, quindi, caso per caso rispetto al mercato.
Ma allora qualcuno si è mai chiesto se sostituire l’olio di palma con ingredienti come burro (51% di grassi saturi), olio di karitè (46,6 %) e burro di cacao (59,7%) possa davvero fare meno male alla salute?
A questo punto quando leggiamo l’etichetta di un prodotto faremmo bene a prestare più attenzione a quello che c’è scritto e fare una valutazione più approfondita. Quello per cui tutti dovrebbero battersi è, quindi, avere tutte le informazioni necessarie per poter scegliere liberamente.
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