È proprio così, la passata di pomodoro 100% italiano rischia di sparire, complici la siccità, i rincari, il conflitto in Ucraina e un accordo sul prezzo mancato
Il pomodoro potrebbe essere nella lista dei prodotti introvabili. Incertezze e tensioni mettono a dura prova l’industria italiana del pomodoro, specializzata nella produzione di derivati destinati al consumatore finale, e fiore all’occhiello dell’agroalimentare italiano. Una quota export che vale oltre 1,9 miliardi di euro, per un’industria che esporta più del 50% delle proprie produzioni all’estero, oltre a soddisfare un bisogno pro capite interno di 35 kg all’anno. Un mancato accordo tra industria e agricoltura mette alla prova tutta la produzione di passate Made in Italy in un momento già delicato, minato dal conflitto in Ucraina, dal rincaro dei prezzi delle materie prime e dell’energia e dalla situazione climatica. Come se non bastasse, proprio come conseguenza della guerra tra Ucraina e Russia, l’Italia, come il resto d’Europa, oltre a mantenere a galla i capisaldi della filiera agroalimentare italiana, deve fare i conti con la necessità di assicurarsi gli approvvigionamenti necessari e limitare la dipendenza dagli altri paesi.
Un’altra sfida per tutta l’agricoltura italiana
In Italia, a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, si è parlato, in maniera forse un po’ troppo allarmista, di economia di guerra. L’approvvigionamento delle materie prime, in primis i cereali, risentono delle sanzioni che l’Europa, Italia compresa, ha inflitto alla Russia. Cosa che ha spinto alla considerazione di dover produrre, in maniera autonoma, le materie prime necessarie per il fabbisogno nazionale. Attualmente l’Italia dipende da Russia e Ucraina per il 64% di grano tenero (per intenderci il grano utilizzato per pane e biscotti) per il 47% di mais e per il 73% della soia indispensabili per l’alimentazione zootecnica, e quindi per la produzione di carne.
Tuttavia, il problema della siccità e della carenza idrica, getta un ombra sui buoni propositi di produrre in casa nostra non solo mais, soia, girasole e grano tenero per eliminare la dipendenza da altri Paesi, ma persino le materie prime per cui in grande parte potevamo provvedere autonomamente. È il caso ad esempio dell’Emilia Romagna, seconda regione d’Italia per produzione di cereali, dove le superfici coltivate a frumento duro hanno raggiunto i 74.000 ettari. Qui “i produttori di grano – osserva in una nota il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini – si preparano a fronteggiare la siccità pianificando irrigazioni di soccorso a costi elevatissimi visti i rincari del gas e dell’energia elettrica. Si profila una stagione complicata per il mais, coltura che necessita di molta acqua ed è vicina al suo periodo di semina su oltre 100.000 ettari di superficie regionale”.
Per il pomodoro è anche questione di prezzo
Senza un accordo tra industrie conserviere e trasformatrici ed agricoltori, si rischia uno stallo traducibile in una riduzione dei campi destinati alla coltivazione dei pomodori in favore di altre colture, come il mais, l’orzo, il girasole e della soia, che al momento, in vista dei rialzi possono rappresentare colture più convenienti e a minor rischio. Al momento la proposta da parte delle industrie è bloccata a 102 euro per tonnellata, prezzo uguagliato alla proposta in Spagna. Questo è quanto emerge in base alle dichiarazioni di Confagricoltura Emilia-Romagna che sottolinea quanto “al momento, le posizioni risultino ancora troppo distanti: da un lato l’industria che è arrivata a proporre (solo) 100/102 euro a tonnellata, dall’altro gli agricoltori che, a queste condizioni, non sono disposti a rimetterci visto i rincari dei costi di produzione (energia, gasolio, fertilizzanti e sementi)”. “Sulla definizione dei contratti influisce in maniera preponderante il clima di incertezza che stiamo vivendo”, spiega Giovanni De Angelis, direttore generale Anicav.
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Nord Italia e Sud Italia, situazione analoga
Il Tavolo agricolo del pomodoro da industria del Nord Italia, rappresentato da Confagricoltura, Coldiretti e Cia, chiede di velocizzare la definizione dell’accordo per la campagna 2022.
I produttori, che nel 2021 hanno raccolto e consegnato all’industria oltre 3 milioni di tonnellate di prodotto (38.621 ettari coltivati di cui il 70% in Emilia-Romagna), premono per velocizzare la definizione dell’accordo sul prezzo per il 2022, dopo la bocciatura dell’11 marzo da parte dei produttori all’offerta delle imprese di trasformazione ferma a 100 euro a tonnellata. Il distretto produttivo del Nord Italia versa già in una situazione critica dovuta alla siccità che fa prevedere già una perdita produttiva del 10% con una produzione di 2,75 milioni di tonnellate.
Il distretto del Sud, sebbene non registri una situazione critica dal punto di vista idrico, prevede la stessa percentuale di perdita, stimata al 10% con una produzione di 2, 65 milioni di tonnellate.
Gli effetti del conflitto in Ucraina
“Anche se i mercati russo e ucraino incidono meno dell’1% sul nostro export, questa guerra ci colpisce indirettamente per i rincari di energia, soprattutto gas, trasporti e noli, che subiscono gli aumenti del gasolio”, è così che Giovanni De Angelis riassume la criticità dovuta alla guerra tra Russia e Ucraina. In realtà gli effetti indiretti potrebbero risultare più incisivi. Le quotazioni raggiunte da mais, soia, sorgo e girasole sono esplose, e oltretutto, richiedono investimenti minori con minori rischi.
Il punto
L’annata agricola si prospetta fin da ora molto complicata, vista la carenza di piogge ed il deficit idrico, le incertezze generate dal conflitto in Europa potrebbero avere conseguenze sulle decisioni degli agricoltori riguardo il cambio di coltivazioni e il prezzo non è ancora stato definito. In Italia il costo delle materie prime dell’agricoltura incide solo per il 10% del prezzo pagato dal consumatore, gli altri fattori a determinarne l’entità sono i costi di energia, trasporto e imballaggio. Se, come prevede la FAO, il rincaro delle materie prime agricole dovesse toccare un aumento del 20%, si potrebbe verificare un impoverimento della popolazione, ovvero un accesso minore ad alimenti sempre più cari. Riflettere dunque sulle singole problematiche potrebbe essere poco proficuo. L’unica cosa che dovrebbe essere garantita è la sicurezza alimentare, intesa come la necessità di produrre in quantità e di qualità… concetto tanto semplice quanto utopistico, di questi tempi.
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