Nell’articolo precedente abbiamo analizzato i problemi all’origine della crisi del latte ovino, una situazione che ha messo in ginocchio migliaia di famiglie di allevatori sardi ed un’intera filiera che ha un indotto superiore ai 100.000 posti di lavoro, e che oltre ai pastori sardi, include le ditte sementiere, mangimistiche, i consulenti aziendali e i laboratori di analisi.
In questo articolo analizzeremo 7 soluzioni concrete per salvare il latte ovino, il pecorino sardo e il lavoro degli allevatori sardi, che consentiranno una giusta remunerazione del latte di pecora e un aumento delle esportazioni.
Non entreremo nelle questioni delle politiche di mercato, ne ci addentreremo nelle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare, che creano uno squilibrio contrattuale tra i caseifici e gli allevatori, sul quale tra l’altro sta indagando l’Antitrust. Il nostro obiettivo è concentrarci su idee e alternative che possono aiutare praticamente questa grande eccellenza agroalimentare Made in Italy ad essere più competitiva in Italia e all’estero.
Ecco le 7 soluzioni concrete che abbiamo pensato per uscire definitivamente dalla crisi
1. Attivazione di un registro telematico
Per fronteggiare i soliti furbetti è indispensabile l’attivazione di un registro telematico del latte e della produzione di formaggio.
Infatti, l’unica certezza che si ha oggi sulla questione del latte ovino è che per avere un 1 Kg di formaggio pecorino sono necessari circa 6 litri di latte di pecora. Invece, circa i dati di produzione totale del latte ovino e del formaggio pecorino abbiamo solo delle stime, i numeri veri restano un mistero.
2. Diversificazione dell’area geografica dei mercati di sbocco
Disporre di pochi mercati di sbocco è troppo rischioso, come per un’azienda che ha solo un paio di grandi clienti, con conseguenze disastrose appena un cliente cambia idea o riduce i consumi mandando l’azienda in crisi. Se analizziamo quali sono i maggiori consumatori di formaggio al mondo scopriamo che i primi in assoluto sono i francesi con 25,9 chilogrammi pro-capite, secondi gli islandesi con 25,2 chilogrammi, terzi i finlandesi con 24,7 chilogrammi, al quarto posto abbiamo la Germania (24,3 chilogrammi a testa), poi c’è l’Italia (23 chilogrammi), l’Estonia (21,7 chilogrammi), la Svizzera (21,3 chilogrammi), la Lituania (20,1 chilogrammi), l’Austria (19,9 kg.) e la Svezia (19,8). Negli Stati Uniti, Canada e Australia invece si mangiano in media 15 chilogrammi di formaggio pro-capite. Qual’è il maggiore mercato di export del formaggio pecorino? Sono proprio gli USA dove se ne consuma di meno.
3. Intercettare i nuovi gusti dei consumatori
Sia in Italia che all’estero, i consumatori che riescono a consumare il Pecorino Romano stagionato come formaggio da tavola sono una minoranza. Per penetrare maggiormente nel mercato italiano e su quello europeo (molto ghiotto di formaggio) c’è bisogno di un pecorino un po’ più dolce. Anche gli chef concordano che il pecorino romano è troppo forte al palato e questo li porta a prediligere altri pecorini (toscani, abruzzesi, umbri) con un sapore più dolce o a miscelarli assieme al pecorino romano per smorzare il sapore deciso. Al di là del gusto c’è la complicità di una nuova sensibilità verso i cibi salutari con un basso contenuto di sale. Da qualche anno sono disponibili nuovi percorsi di salatura che risolvono il problema dell’elevato contenuto di sale del pecorino romano. Nuovi procedimenti tecnici naturali, come quelli dimostrati all’ultimo congresso Aitel, l’Associazione italiana dei tecnici del latte, tenutosi a Parma, dove è stato provato che applicando una tecnica di salamoia dinamica la percentuale media di sale ottenuta in formaggi ovini con una stagionature a 5 e 8 mesi è stata del 2,2 per cento (meno della metà del prodotto oggi in produzione) ovvero un valore quasi in linea con quello dei formaggi vaccini.
4.Diversificare l’impiego del latte ovino
La Sardegna è la prima regione italiana come numero di capi ovini da latte con oltre 3 milioni di capi (44% del totale italiano).
Con una produzione così vasta è necessario diversificare l’impiego del latte. In Sardegna non si produce solo il Pecorino Romano, ma anche il Pecorino Sardo Dopo e il Fiore Sardo Dop.
Secondo Oilos, Organismo interprofessionale latte ovino sardo, nel 2018 la produzione dei 3 pecorini è stata di 550 mila quintali, dei quali 340 di Pecorino romano, 20 di Perorino sardo Dop, 7mila di Fiore sardo Dop e il restante in cotti e semicotti senza denominazione protetta.
Una maggiore produzione di Pecorino sardo Dop e di Fiore sardo Dop potrebbe concorrere a diversificare l’impiego del latte di pecora.
5. Promuovere gli altri derivati del latte ovino
Oltre alla produzione di ricotta e yogurt fatti con latte di pecora, che potrebbe trovare favore anche in quei consumatori che hanno lievi intolleranze al latte vaccino, crediamo che un valido sbocco di impiego alternativo può essere la produzione di latte ovino in polvere destinato all’alimentazione dei neonati. La società Alimenta Srl esporta il latte in polvere in Cina, dove è particolarmente richiesto e fortemente apprezzato per la grande attenzione che ormai viene riservata dai cinesi benestanti al cibo sano e di altra qualità chiamato “safe food”. La società ha un programma di investimenti che prevede la realizzazione di un nuovo stabilimento produttivo nella zona industriale del Comune di Borore, con l’obiettivo di sviluppare nuove linee produttive del latte in polvere per neonati. Aziende come queste andrebbero supportate.
6. Liberarsi dal concetto che latte sardo e pecorino sono commodity.
Il termine “commodity” fa riferimento ad un prodotto standard il cui costo e la qualità è valutato a prescindere che venga prodotto in Italia, in America, in Asia, o altrove, come ad esempio viene definito il petrolio, il gas o l’energia elettrica.
Come dimostrato da alcuni studi scientifici il latte di pecora che proviene dagli allevamenti sardi, con un sistema di allevamento estensivo basato sul pascolo non è equivalente al latte ovino prodotto in Francia, Spagna o Bulgaria. Il latte ovino sardo è decisamente migliore perchè ha un contenuto di acidi grassi polinsaturi superiore, possiede dei livelli di acidi grassi Ω-3 (in particolare EPA e DHA) più elevato rispetto a quello di pecore allevate in stalla, ha inoltre una maggiore concentrazione di vitamine (Vitamine A ed E) e consente un grado di protezione antiossidante superiore.
7. Incrementare l’immagine dei formaggi sardi
Non basta fare un bel sito web e qualche manifestazione pubblica. E’ necessario investire di più e su vari canali di comunicazione, sia in Italia ma soprattutto all’estero, per migliorare l’immagine dei formaggi ovini seguendo una valida strategia di marketing sull’esempio di altri brand rappresentati dalle eccellenze del formaggio italiano come Parmigiano Reggiano, Grana padano, Mozzarella di Bufala Campana, Asiago e Gorgonzola. Solo comunicando la differenza (vedi punto 6) e informando i consumatori sul valore del pecorino romano originale possiamo combattere le imitazioni italian sounding all’estero.
Le soluzioni ci sono, è giunto il tempo di passare dalle proteste ai fatti e mettersi a lavorare seriamente e unitamente per attuare il cambiamento.
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